Scheda: Tema - Tipo: Architettura e urbanistica

Michelangelo Buonarroti sulle Mura di Ferrara

Ritratto di Michelangelo Buonarroti realizzato da Daniele da Volterra

Tra i numerosi esperti di arte militare che visitarono le fortificazioni fatte costruire da Alfonso I d'Este, possiamo annoverare nientemeno che Michelangelo, giunto a Ferrara nel 1529 proprio per studiare i grandi baluardi orientali della città.

 

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Le fortificazioni fatte costruire da Alfonso I d'Este lungo il versante sudorientale del circuito cittadino non tardarono a suscitare l'ammirazione degli osservatori contemporanei, specie di tecnici, architetti e ingegneri militari.

Il corrispondente mantovano di stanza a Ferrara, Bernardino Prosperi, avvisava il 6 settembre 1518 la marchesa Isabella d'Este che:

 

Al borgo de sotto se lavora a fare fossa e montagna, che venirà alta quanto palazo sia in Ferrara e forse più per quello che già se comprende, e ogni giorno il Signore [duca] li va matina e sira a veder e per tenir sollecitato che se gli lavori cum broci e homini che sono da circa mille doxento. Li va poi torrioni e muraglie che fornite che siano questa città da artigliarie e battaglie si poterà tormentre, ma a pigliarla serà difficilissima e quasi inespugnabile (Marchesi 2015, p. 458).

 

Alfonso stava rendendo Ferrara una città inespugnabile tramite apparati difensivi sorprendenti, a tal punto che appena due anni dopo, l'8 luglio 1520, Ferrante Gonzaga riferiva alla madre Isabella le sue impressioni dinanzi al grande Baluardo della Montagna, che aveva la nomea di essere “la più superba fortezza del mondo”. Il duca Alfonso è passato alla storia per le sue qualità di principe architetto ed ingegnere, esperto nell'invenzione e nella fabbricazione di ordigni esplosivi e soprattutto di armi pesanti. Nell'Orlando furioso (1516, XXV, 14), Ludovico Ariosto menziona addirittura due di questi pezzi d'artiglieria, il “Gran Diavolo” e il “Tremuoto” o “Terremoto”, così chiamati “per l'empito inestimabile che faceva”, il primo, e per il “terribil suo rimbombamento e romore”, il secondo. Secondo Paolo Giovio uno di questi cannoni era stato fabbricato di persona dal duca, “maestro eccellentissimo in tale arte”. Le capacità progettuali ed esecutive di Alfonso nel  campo delle arti belliche vengono celebrate ricordando che a Ferrara “si gittavan continuamente nelle fabriche artiglierie d'ogni sorte, secondo i disegni, e modelli suoi”:

 

Fabricossi ancora col mirabile ingegno suo, per poter fare in poco tempo quantità grandissima di polvere d'artiglieria, una machina girata dall'acqua, la quale sospesi certi pestagli di ferro, percotendo scambievolmente or l'uno, e or l'altro, in certe pille di rame, pestavan con tanta brevità, il carbone, il salnitro e il zolfo, che un fanciul solo che la guidasse, faceva opera per una quantità grande d'uomini che lavorassino (Giovio 1553, p. 70).

 

Particolarmente celebrata risulta l'opera di fortificazione della città, voluta dal duca:

 

Alfonso, se bene gli pareva per avere i suoi confederati, mandate così in fumo queste imprese, e disegni del papa, essere al tutto libero da una dubbiosa guerra, e vicina a Ferrara, non si dette però mai già niente a vivere in otio; e non mancò mai di pensare alle cose della guerra. Anzi per il contrario dando bando a tutti gli spassi e piaceri, attendeva del continuo a fortificar la città, accrescendo le mura, affondando e allargando i fossi, e facendo far di terra, e stipa larghissimi e altissimi cavalieri di tanta grandezza che si potessi piantarvi sopra che artiglieria altrui volessi, per tenere agevolmente discosto i nimici dall'offender le mura (Giovio 1553, p. 59).

 

Anche Michelangelo giunse a Ferrara nel corso del 1529 appositamente per visionare i moderni baluardi appena eretti sotto la sovrintendenza progettuale di Sebastiano Bonmartini da Monselice, detto il Barbazza. Secondo le Vite di Giorgio Vasari e la Vita del biografo Ascanio Condivi, le autorità della Repubblica Fiorentina decisero in quel frangente di affidare al Buonarroti le nuove fortificazioni della capitale toscana e al riguardo

 

lo volsono mandare a Ferrara, con questo colore, che considerasse il modo che 'l duca Alfonso aveva tenuto in munire e fortificare la sua città, sapendo che Sua Eccellenza in questo era peritissimo e 'n tutte l'altre cose prudentissimo. Il duca con lietissimo volto ricevette Michelagnolo, sì per la grandezza dell'uomo, sì perchè don Hercole suo figliolo, oggi duca di quello Stato, era capitano della Signoria di Firenze. E in persona cavalcando seco, non fu cosa che sopra ciò fusse necessaria, ch'egli non gli mostrasse, tanto di bastioni quanto d'artiglierie. Anzi gli aprì tutta la sua salvaroba, di sua mano mostrandogli ogni cosa, massimamente alcune opere di pittura, e ritratti dei suoi vecchi, di mano di maestri, secondo che dava quell'età che furon fatti, eccellenti (Farinella 2007, pp. 59-60).

 

Michelangelo sostò a Ferrara nei mesi di agosto, settembre e novembre, alloggiando con l'allievo Antonio Mini allora ventitreenne e all'amico orefice soprannominato il Piloto presso l'Osteria dell'Angelo, in Via Ripagrande (nell'attuale Casa di Riposo A.S.P). Vale la pena di ricordare che in quel frangente il duca estense poteva vantare tra i suoi pezzi d'artiglieria la famosissima colubrina “Giulia”, realizzata con parte del materiale bronzeo ricavato dalla abbattuta statua di papa Giulio II forgiata da Michelangelo stesso tra il 1507 e il 1508 per il portale maggiore della chiesa di San Petronio di Bologna; collocata nelle fortificazioni di Reggio Emilia (dove sarà ricordata in un inventario del 1625 come “antica, povera di metallo et in cameratta”), pesava circa tre tonnellate e lanciava palle da 50 libbre: meno della metà del “Gran Diavolo” e del “Terremoto”.

Secondo il biografo Condivi, approfittando della sua presenza a Ferrara, il duca Alfonso si rivolse all'artista fiorentino in questi termini:

 

Michelagnolo, voi siete mio prigione. Se volete ch'io vi lasci libero, voglio che voi mi promettiate di farmi qualche cosa di vostra mano, come ben vi viene, sia quel che si voglia, scultura o pittura.

 

Nacque così la promessa dell'esecuzione di un quadro “colorito a tempera”, rappresentante l'unione carnale tra Leda sdraiata e Giove trasformato in cigno, derivato da un modello antico noto per gemme e sigilli. Vi si vedevano anche un uovo e i fanciulli Castore e Polluce: un dipinto non proprio fortunato. Al momento della consegna, nell'ottobre 1530, l'opera era finita, ma un'indelicatezza dell'inviato ferrarese, Iacopo Lachi detto il Pisanello, che la definì, al cospetto dell'autore, “poca cosa”, indispettì Michelangelo, che si rifiutò di consegnarla. Scrive Condivi “licenziato il ducal messo, di lì a poco tempo donò il quadro a un suo garzone”. L'opera, con alcuni disegni, venne infatti ceduta, forse in dono, forse per essere venduta, ad Antonio Mini che nel 1531 la portò in Francia. Nel 1532 venne lasciata in deposito al re Francesco I, che forse l'acquistò in seguito, destinandola al castello di Fontainebleau. Le vicende successive sono incerte: forse venne fatta bruciare dal gesuita Sublet De Noyers, ministro della guerra di Luigi XIII o dalla sua vedova (la regina Anna d'Austria) per motivi moralistici, oppure venne semplicemente occultata: pare che il Milizia la vide “malconcia” nel 1740, ma da allora non se hanno più notizie, se non per gli studi a matita rossa su carta conservati a Firenze, o per le stampe e copie pittoriche successive.

Nulla è rimasto degli schizzi grafici di Michelangelo sui baluardi ferraresi: al contrario, al Gabinetto delle Stampe e dei Disegni degli Uffizi sono conservati gli abbozzi dei bastioni triangolari cittadini realizzati da Antonio da Sangallo il Giovane durante la sua perlustrazione in Romagna nel 1526 per conto di papa Clemente VII.

 

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  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara