Scheda: Soggetto - Tipo: Persona

Giovanni Battista Aleotti, detto l'Argenta (1546-1636)

Ritratto di Aleotti, incisione di V. Pizzoli, 1833

Architetto, ingegnere militare e idraulico, topografo, cartografo, trattatista, scenografo e matematico: Giovanni Battista Aleotti fu una vera personalità nella Ferrara estense e papalina a cavallo dei secoli XVI e XVII.

 


Nascita: 1546

Morte: 1636

Categorie

  • matematico | ingegnere | architetto

Tag

  • Giovanni Battista Aleotti | Giovan Battista Aleotti

Nato ad Argenta nel 1546 da Vincenzo ed Elisabetta, fu il principale architetto attivo a Ferrara a cavallo dei secoli XVI e XVII, prima al servizio dell'ultimo duca Alfonso II d'Este, poi (dal 1598) della Camera Apostolica e dello stesso Comune.

In ambito cittadino diresse tra il 1582 e 1585 la costruzione dei grandi baluardi dai profondi fianchi rientranti e dotati di orecchioni lungo le cortine murarie meridionali, mentre nei primi decenni del '600 progettò la tomba di Ludovico Ariosto (1610), la facciata e la torre di Palazzo Paradiso (1610), le chiese di Santa Barbara e di San Carlo (1610-11) e Porta Paola (1612): in qualità di ingegnere militare, nel 1618 portò a compimento la costruzione della Fortezza pontificia avviata nel 1608 con la direzione progettuale di Mario Farnese e di Pompeo Targone.

Noto anche come autore di strutture e macchine teatrali, fu già nel 1592 richiesto da Vincenzo Gonzaga per una rappresentazione (invero non realizzata) del Pastor fido, dramma pastorale del poeta ferrarese Giovanni Battista Guarini. Svolse una fervente attività di scenotecnico al servizio del marchese Enzo Bentivoglio, mecenate appassionato di tornei cavallereschi. Frequenti sono gli accenni agli spettacoli negli scambi epistolari tra Aleotti, il marchese e il cardinale Guido Bentivoglio suo fratello. Le rappresentazioni sceniche avvenivano il più delle volte nel teatro della Sala Grande del Palazzo di Corte di Ferrara, chiamato in seguito anche Teatro della Commedia, Teatro di Sala o Teatro vecchio del Cortile: ebbe una prima sistemazione provvisoria nel 1610, in occasione del Campo aperto combattuto in occasione del Carnevale. Ricavato nella sala principale della Corte vecchia, aveva un'ampia scena rialzata, con frons scaenae non costruita ma solo dipinta, ispirata a quella dell'Olimpico di Vicenza. La sala aveva una cavea a gradoni, quadrangolare, che correva attorno alle tre pareti, lasciando libero al centro uno spazio per il “campo” destinato ai combattimenti. Nel 1612, in occasione del torneo carnevalesco combattuto dagli accademici Intrepidi, il teatro venne ricostruito con alcune varianti e divenne stabile: la cavea, sempre quadrangolare e a gradoni, aveva una capienza di quattromila posti.

Aleotti aveva eretto in città un altro teatro stabile nel 1605: il perduto Teatro degli Intrepidi a San Lorenzo, ricavato da un vecchio granaio di proprietà ducale. La cavea era semicircolare, a gradoni, con scena sopraelevata; nel 1606 risultava ultimato anche il palcoscenico, con prospetto antistante al proscenio dipinto su una tramezza lignea con colonne doriche e un'architrave a finto rilievo.

Nel 1617 fu prescelto da Ranuccio Farnese per la costruzione a Parma, nella vastissima sala d'armi del palazzo della Pilotta, di un grande teatro in legno, semidistrutto da un bombardamento nel 1944: per la sua concezione, per la razionalità degli impianti (forma ovata, anfiteatro a gradini, due ordini di logge, scene mobili, attrezzature del palcoscenico) la struttura figurava tra le migliori architetture teatrali dell'epoca.

L'Argenta ebbe inoltre una parte di rilievo nell’opera di bonifica e di regimazione dei corsi d'acqua in diversi territori (dal Parmense al Ravennate, dal Ferrarese al Polesano).

Soggiornò a Roma e Firenze, lavorando al contempo alle costruzioni palaziali di Gualtieri (feudo dei nobili Bentivoglio) e di Scandiano (con il colossale ampliamento della rocca per conto del marchese Giulio Thiene).

Grazie soprattutto alla conoscenza approfondita del trattato Delle Fortificazioni di Galasso Alghisi, Aleotti si è degnamente inserito nel campo delle opere difensive militari, che ormai si andavano costruendo secondo precise norme codificate nell'arco di centocinquanta anni da architetti come Francesco di Giorgio Martini, Antonio da Sangallo, Francesco De Marchi, Francesco Paciotti. Altri insegnamenti vengono certamente dalla trattatistica cinquecentesca, dalla edizione del Vitruvio di Daniele Barbaro, ma soprattutto dai trattatisti come Sebastiano Serlio, Jacopo Barozzi detto il Vignola e Andrea Palladio.

Il trattato del Serlio sembra essere il punto di riferimento più ricorrente nelle progettazioni di Aleotti; la pianta del palazzo di Gualtieri infatti deriva in modo evidente da una di quelle pubblicate dal Serlio nel terzo libro De le Antiquità, così come la pianta della chiesa progettata per la rocca di Scandiano è una copia calligrafica di quella a croce greca rappresentata nelle pagine dello stesso trattato relative alle diverse forme delle chiese. Nel medesimo capitolo Serlio illustra anche una chiesa a pianta ellittica, che appare aver palesemente ispirato quella di San Carlo a Ferrara.

Scrisse diverse opere tecniche e teoriche, tra cui L'uso della squadra (Venezia 1598), una Pianta topografica del Ducato di Ferrara del 1599, la Difesa per riparare alla sommersione del Polesine di San Giorgio e alla rovina dello Stato di Ferrara (Ferrara 1601), una Geografia dello Stato di Ferrara del 1617. Molte sono le opere lasciate in forma manoscritta, tra cui un discorso Dell'interramento del Po di Ferrara a divergenza delle sue acque nel ramo di Ficarolo (edito postumo a Ferrara nel 1847 da Luigi Napoleone Cittadella), una Raccolta di tavole disegnate o possedute da Aleotti (conservate nella Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara), un grosso trattato, forse la sua opera maggiore, sulla Idrologia o scienza di ben regolare le acque (alla Biblioteca Estense di Modena), nonché memoriali e altre lettere. Sua è pure la traduzione (Ferrara 1589) de Gli artificiosi et curiosi moti spirituali di Herone Alessandrino.

Risale al 1581 un manoscritto, ora conservato presso il British Museum, allegato ad una minuta del Discorso sulla Atterratione del Po di Ferrara, e intitolato Dell'Architettura libro V. In questo lavoro, del quale non si conoscono gli altri volumi, Aleotti tratta problemi pratici legati a confini, servitù di passaggio, porte e finestre, grondaie, rapporti con le edificazioni preesistenti, fogne, acquedotti, e a tutte le leggi che regolano l'attività edilizia. Nell'introduzione, intitolata Dove si tratta de le legi a l'architettore necessarie secondo la mente di Vitruvio, si trova esposta una teoria che può fare luce sulle origini dei concetti architettonici dell'Argenta. L'architetto afferma infatti che Vitruvio

 

considerasse che necessariamente è di mestiere che il buono Architettore sapia le legi appartenenti ad esso, come si vede nel primo libro di esso, (...) benché tenga altra opinione Leon Battista Alberti, Architettor fiorentino, il quale benché scrivesse assai cose appartenenti all'Architettura fece però poco o nulla di buono, come ne testificano l'opere da lui fatte et cittate da Giorgio Vasari pittor Arettino”, e prosegue sostenendo che “chi ben considera i scritti di Leon Battista vedrà che lo Architettor da esso pensato molto più mecanico è che quello di Vitruvio, il quale lo instituisce nel somo grado di eccelenza.

 

Aleotti dà inoltre una interessante spiegazione per la scelta della lingua volgare in gran parte di questa trattazione delle leggi edilizie, abitualmente esposte in lingua latina, dicendo che dovranno perdonarlo

 

i professori di legge se in questa lingua io scuopro et fò palese in questa parte quello che con fatica di raggione dovrebono altri sudare per sapere: perciochè dovendo io far regole per le quali ottimo et ecelente possa essere un Architetto è necessario servirlo in questo idioma, perché oggi dì quelli che al studio de la Architettura attendono tutti sono ò pittori ò scultori ò intagliatori di legname et simili gente, per lo più che non intendono la lingua latina.

 

Con ciò si può intendere che l'architettura è per lui una attività eminentemente pratica, lontana dalle idealizzazioni che hanno invece segnato l'opera di tanti artisti rinascimentali.

Si sposò due volte, la prima con una tale Giulia e la seconda con Angiola Moschini dalla quale ebbe un maschio (premorto) e cinque femmine, tra cui due furono monache nel monastero di San Vito di Ferrara: suor Raffaella, celebre organista che diede alle stampe alcuni suoi mottetti e madrigali, e suor Vittoria, eccellente clavicembalista e compositrice di madrigali a quattro voci. Morì a Ferrara il 12 dicembre 1636: sepolto nella chiesa di Sant'Andrea, le sue spoglie furono traslate nel 1878 nel Santuario della Celletta di Argenta, edificio da lui completato anche se progettato nel 1610 da Marco Niccolò Balestri.

 

Temi correlati

Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara