Scheda: Tema - Tipo: Arti

Ariosto a Palazzo Schifanoia

Al secondo piano di Palazzo Schifanoia, la vista degli affreschi in prospettiva

La delizia estense di Schifanoia, eretta nel 1385 per volere di Alberto V d’Este e poi ampliata da Borso ed Ercole I d’Este, ed il suo Salone dei Mesi affrescato dai più rinomati pittori di corte dell’epoca (Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti), esercitarono uno straordinario fascino su Ludovico Ariosto che, nelle pagine dell’Orlando furioso, fa rivivere alcuni dei soggetti rappresentati sulle pareti di Schifanoia: il fantastico mondo cavalleresco, temi astronomici e astrologici, le occupazioni della corte.


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  • La città di Ludovico Ariosto

L'Orlando furioso negli affreschi di Schifanoia

A poca distanza dall’ abitazione di Ludovico Ariosto in via Gioco del Pallone, rifulgeva il Salone dei Mesi di Schifanoia, dipinto da pochi anni (1469-70) e fertile luogo di sollecitazioni figurative per il poeta. Il disegno compositivo del poema, epitomizzato nel celebre “le donne, i cavalieri, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto...” (O. F. I, 1), trova stretta parentela con la fascia inferiore degli affreschi del palazzo, dedicata alla rappresentazione della vita alla corte estense. L'insieme degli affreschi è considerato il più alto esempio di lavoro corale della celebre “Officina ferrarese”, vale a dire di maestri quali Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti, Baldassarre d’Este, il Maestro dagli occhi spalancati, nonché i collaboratoridi questi artisti.
Nell’affresco raffigurante il “mese” di Marzo di Francesco del Cossa, abbinato al segno dell’Ariete, si vedono le stesse figure elencate nel proemio dell’Orlando furioso: pacifiche donne che tessono alla destra del carro di Minerva, i cavalieri, sparsi poco più in basso; le armi, invece, sono dipinte da Ercole de’ Roberti, all’interno della fucina di Vulcano, rappresentata all’interno del “mese” di Settembre. Gli amori, in maniera esplicita, e le cortesie tra dame e cavalieri, si vedono nei “mesi” di Aprile e Settembre. Attraverso le immagini dei segni zodiacali e del potere a loro attribuito sulle vicende dell’esistenza umana, attraverso gli elementi simbolici degli affreschi ancora non del tutto svelati e riferiti agli studi di astrologia ed astronomia condotti, tra gli altri, da Pellegrino Prisciani, si può comprendere quale fosse l'interesse per gli enigmi degli astri ai tempi di Ludovico Ariosto. Un probabile riferimento al Salone dei Mesi di Schifanoia appare anche in altri versi del poema che descrivono il castello di Tristano:


Lo scalco por la mensa fatto avea.
Fatto l’avea nella gran sala porre,
di che non era al mondo la più bella

e tutte piene le superbe mura
veggon di nobilissima pittura
(O. F. XXXII, 94-95)


Questa sala più bella non poteva che essere, per Ludovico Ariosto, il Salone di Schifanoia, ritenuto all’epoca un capolavoro ineguagliato e che lui aveva avuto modo di conoscere durante gli impieghi giovanili alla corte di Ercole I d’Este. Ulteriori suggestioni per passi del poema si ritrovano nella raffigurazione del “mese” di Agosto, dove la dea Cerere è dipinta su un carro trainato da due draghi, mentre poco più accanto la figlia Proserpina viene rapita da Plutone e trascinata via su un altro carro. Così nell’Orlando furioso si legge:


Cerere, poi che da la madre Idea
tornando in fretta alla solinga valle

La figlia non trovò dove l’avea
Lasciata fuor d’ogni segnato calle..
Sul carro che tiravan dui serpenti,
cercò le selve, i campi, il monte, il piano,
le valli, i fiumi, li stagni, i torrenti,
la terra e ‘l mare, e poi che tutto il mondo
cercò di sopra, andò al tartareo fondo.


S’in poter fosse stato Orlando pare
all’Eleusina dea, come in disio,
non avria, per Angelica cercare,
lasciato o selva o campo o stagno o rio
o valle o monte o piano o terra o mare,
il cielo, e ‘l fondo de l’eterno oblio;
ma poi che ‘l carro e i draghi non avea,
la gìa cercando al meglio che potea.
(O. F. XII, 1,2,3)


Altri collegamenti si ritrovano negli affreschi realizzati da Ercole de’ Roberti per il “mese” di Settembre, dove la rappresentazione della fucina di Vulcano, con il tradimento consumato da Venere con Marte, sembra direttamente illustrato nel suo significato simbolico dai versi dell’Ariosto.


Avea la rete già fatta Vulcano
di sottil fil d’acciar, ma con tal arte,
che saria stata ogni fatica invano
per ismagliarne la più debol parte;
et era quella che già piedi e mano
avea legate venere a Marte:
la fè il geloso, e non ad altro effetto,
che per pigliarli insieme ambi nel letto.


Mercurio al fabbro poi la rete invola;
che Cloride pigliar con essa vuole,
Cloride bella che per aria vola
Dietro all’Aurora all’apparir del sole,
e dal racconto lembo de la stola
gigli spargendo va, rose e viole.
Mercurio tanto questa ninfa attese,
che con la rete in aria un dì la prese.
(O. F. XV, 56-57)


Il Salone dei Mesi di Schifanoia è considerato dagli studiosi una delle più importanti fonti di arte figurativa per l’Orlando furioso. Nel palazzo come nel poema, convivono in un’unica rappresentazione classicità, medioevo e tempo presente. E le scene di vita agreste e cortese dipinti sui muri, con il loro vivo realismo, sono un repertorio di immagini che ricorre anche nel poema. “Molti altri quadri, tele, frammenti si potranno reperire quali sorgive pittoriche del poeta, ma Schifanoia resterà senz’altro il primo amore, quale altissimo esempio di nuova cultura, sganciata dall’accademia del tardo gotico e dalle ripetizioni secolari del campo religioso” (Malagù 1974, p. 31).

Il palazzo al tempo di Ariosto

La storia di Palazzo Schifanoia affonda le proprie radici alla fine del Trecento, quando quest’area era ancora un’ampia distesa verde addossata all’antico corso fluviale del Po. A commissionarne la costruzione fu Alberto V d’Este, marchese di Ferrara, che nel 1385 ordinò il progetto di un edificio a pianta quadrangolare, dove trascorrere i propri momenti di ozio (l’ubicazione e la rappresentazione spaziale del palazzo sono facilmente identificabili nella mappa del 1747 di Andrea Bolzoni, Pianta ed alzato della città di Ferrara). Il significato del nome di questa delizia estense, destinata alla rappresentanza e allo svago, era appunto “schivar la noia”, vale a dire allontanarsi dalle incombenze quotidiane del governo per intrattenimenti di carattere culturale e ludico. Nella seconda metà del Quattrocento, l'edificio aveva già quasi assunto le forme attuali: l'ala trecentesca si presentava come un corpo di fabbrica a “L”, affrescato con motivi tardogotici e con un fanciullo a tre volti, impresa di Leonello. Tutto il piano superiore era agibile e comprendeva il Salone dei Mesi, un salone d'onore con pregiati affreschi che celebravano la casata estense in chiave astrologica e mitologica, nonché tutto l'appartamento ducale, con la Stanza degli Stucchi ed una cappella in fondo, vicino ad una scala secondaria. I lavori per sopraelevare il piano nobile furono commissionati dal duca Borso all’architetto Pietro Benvenuto degli Ordini, con lo scopo di sistemare nel nuovo spazio gli appartamenti ducali ed un salone di rappresentanza, il Salone dei Mesi per l’appunto. A decorare le pareti di questo spazio, parteciparono gli artisti della scuola ferrarese, tra i quali Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, con un ciclo di affreschi composto da 12 scomparti distribuiti lungo tutto il perimetro del salone. Ciascun scomparto è dedicato a un mese, ed è costituito da tre fasce: in quella superiore sono rappresentati i trionfi degli dei, in quella intermedia i segni zodiacali e i Decani, in quella inferiore le virtù di Borso e il buon governo.
Una scala monumentale, addossata ad una loggia, consentiva di salire direttamente dal giardino interno al Salone dei Mesi. La facciata era abbellita da una sontuosa decorazione a finti marmi policromi e da un magnifico portale in marmo sormontato dall'unicorno dell'impresa borsiana. L'architetto ducale Biagio Rossetti intervenne nel Palazzo nel 1493 per volere del duca Ercole I d'Este: eliminò la merlatura e la sostituì con un cornicione in cotto a stampo, aggiunse un prolungamento di 7 metri ad ovest ed una nuova camera al piano nobile. I suoi interventi risultano senza dubbio rispettosi del monumento, ma da leggersi in chiave urbanistica, secondo l'interpretazione di Zevi: il cornicione “serviva essenzialmente a dinamizzare con una lunghissima freccia il rettilineo stradale, costituiva quindi uno strumento di correzione urbanistica prima che architettonica“ (Zevi 1960). Il duca Ercole I d’Este operò con sollecitudine perché il palazzo assumesse in maniera più accentuata l’assetto di una dimora residenziale assecondando i gusti della moglie Eleonora d’Aragona.
“Nel 1479 a Schifanoia fervono le opere: la duchessa Eleonora, che lo predilige al punto di avervi partorito Alfonso I nel 1476, in occasione della pasqua fa trasportare l'occorrente per porre in essere una cucina e per costruire un piccolo impianto termale. Nel frattempo si sgombera il “calzinazo” della “salla sopra”, si cavano fondamenta e si erigono “li muri”; pure i giardini vengono coinvolti in quello che appare come un sostanzioso e decisivo riadattamento del palazzo” (A. F. Marcianò, L'età di Biagio Rossetti. Rinascimenti di casa d'Este, Gabriele Corbo Editore, Ferrara 1991). Quando gli Estensi abbandonarono Ferrara nel 1598 iniziò anche la decadenza del palazzo che, in seguito a varie affittanze, subì ferite gravissime: fu demolita la loggia e lo scalone d’onore esterno mentre gli affreschi del salone vennero ricoperti da intonaci bianchi. Solo nel 1821 le decorazioni quattrocentesche tornarono a riemergere grazie al lavoro del restauratore Giuseppe Saroli e in seguito, il 20 novembre 1898 l’antica delizia estense acquistò ufficialmente nuova vita come Civico Museo Schifanoia.

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara

Autore

  • Stefania De Vincentis