Scheda: Luogo - Tipo: Vie e Piazze

Corso Martiri della Libertà

Corso Martiri della Libertà

Via del centro storico cittadino, che si sviluppa da corso Porta Reno sino al largo Castello, all’incrocio tra Corso Giovecca e via Borgo Leoni.

 


CORSO MARTIRI DELLA LIBERTA' 1

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Denominazione e cenni storici

Percorrendolo dall’incrocio tra corso Giovecca e via Borgo dei Leoni, il castello, circondato dal fossato e dal muretto di cinta, rimane sulla destra, fronteggiato dal Teatro Comunale e da una lunga serie di portici. Accanto al castello, il Corso si allarga nella Piazza Savonarola, segnata, sullo sfondo, dalla via Coperta, che collega il Palazzo Ducale, ora Municipale, con il Castello Estense, e caratterizzata del monumento dedicato al celebre frate domenicano originario di Ferrara giustiziato a Firenze per eresia e impostura. Seguono, appunto, il Palazzo Municipale, e, sul fronte opposto, quello Arcivescovile, con ingresso al civico n. 67, costruito tra il 1718 e il 1720 per volere del cardinale Tommaso Ruffo, primo arcivescovo di Ferrara. L’ultimo tratto del Corso è delimitato dal Duomo, di fronte al quale si collocano il volto del Cavallo che immette su Piazza Municipale, il palazzo comunale e la Torre della Vittoria, davanti alla quale di apre Piazza Trento Trieste. La Torre dell’orologio segna l’inizio di Corso Porta Reno.

Il nome di Corso Martiri della Libertà, già Piazza del Commercio e Piazza della Pace (per approfondire le quali si rimanda alla ricerca toponomastica condotta da Gerolamo Melchiorri), è dovuto all’eccidio fascista del 15 novembre 1943, un fatto tragico, indelebile nella memoria cittadina e cruciale anche a livello nazionale, in quanto primo eccidio di guerra civile in Italia.

La strage si compì in diversi punti della città. Tuttavia, oltre a via Boldini, dove Cinzio Belletti, testimone della rappresaglia, fu freddato contro il muro dell’Audiorium del Conservatorio, e all’area verde tra l’area del Montagnone e il Baluardo di San Tommaso, dove una colonna sormontata da una croce commemora Girolamo Savonuzzi e Arturo Torboli, fu sull’attuale Corso Martiri che cadde il maggior numero di vittime, nel tratto del muro di cinta del fossato del Castello antistante i portici tra il vicolo chiuso del Teatro e via Cairoli. A ricordarla, proprio nel luogo della fucilazione, sono collocate due piccole lapidi riportanti i nomi degli otto antifascisti uccisi: Emilio Arlotti, Pasquale Colagrande, Mario Hanau, Vittore Hanau, Giulio Piazzi, Ugo Teglio, Alberto Vita Finzi e Mario Zanatta. A quelle si aggiungono le due lapidi poste sui pilastri che reggono il cancello che affaccia sul fossato, all’angolo con Piazza Savonarola. Nella prima si legge: «All’alba del 15 novembre / con sommaria strage / di undici cittadini / fieramente sdegnosi di servitù / il dispotismo / di un regime fazioso / iniziava / pronubo e complice il nazismo tedesco / la serie esecranda dei suoi atti / di feroce rappresaglia / ufficialmente autorizzata / e / cinicamente esaltata». Nell’altra: «Ferrara / restituita con la libertà politica / alla / sovranità inviolabile delle leggi / affida / la sanzione di questo crimine / nei moventi e nelle forme / fra i più mostruosi e abbietti / alla giustizia di Dio / e alla coscienza del popolo / maturata e purificata nel martirio / redenta / da un ideale di pace di amore e di giustizia / il 15 novembre MDMXLV / il Municipio».

A 75 anni da quell’evento e nel decennale della scomparsa del regista Florestano Vancini, la sera del 15 settembre 2018 in corso Martiri della Libertà l'Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, in collaborazione con il Comune di Ferrara e con il contributo economico del Comitato Bassani, ha organizzato la proiezione del film La lunga notte del ’43, ispirato al celebre racconto di Giorgio Bassani Una notte del ’43.

 

Nella letteratura

È allo scrittore Giorgio Bassani, convinto antifascista, che si deve un ritratto molto particolare di questa strada del centro storico ferrarese.

Come spesso accade nelle sue opere narrative, il lettore viene introdotto all’intreccio attraverso una veduta animata, sia essa frutto dell’invenzione di un ricordo o di una cartolina, ad esempio, da cui un dettaglio, un personaggio si staglia acquisendo, ora progressivamente ora in modo improvviso, una maggiore tridimensionalità e immettendo, così, nel pieno della vicenda. Questo accade anche in Una notte del ’43, racconto avviato da una lunga sequenza incipitaria a valore digressivo, che molto rimanda anche del portato simbolico e memoriale di Corso Martiri della Libertà, una sequenza che vale la pena ricordare qui, riducendo al minimo le omissioni.

 

Testimonianze

«Da principio si può anche non accorgersene. Ma basta stare seduti per qualche minuto a un tavolino all’aperto del Caffè della Borsa, avendo davanti la rupe a picco della Torre dell’Orologio, e, appena più a destra, la terrazza merlata dell’Aranciera, perché la faccenda appaia evidente. Càpita questo. D’estate come d’inverno, col sole o con la pioggia, è molto raro che chi percorre quel tratto di corso Roma preferisca tenersi al marciapiede di fronte, lungheggiante in piena luce la bruna spalletta della Fossa del Castello, se qualcuno o fa, potrà essere il turista coll’indice infilato fra le pagine della Guida del Touring e il naso all’aria, potrà essere il viaggiatore di commercio che, la borsa di pelle sottobraccio, scappa via frettoloso verso la stazione, potrà essere il contadino della zona del Delta venuto in città per il mercato, il quale, in attesa della corriera pomeridiana di Comacchio o Codigoro, porta attorno con manifesto imbarazzo il proprio corpo reso pesante dal cibo e dal vino ingurgitati poco dopo mezzogiorno in una bettola di San Romano. Potrà essere chiunque, insomma, ma non un ferrarese.

Il forestiero passa, e la gente seduta al caffè guarda e sogghigna. A certe ore della giornata, però, gli occhi si fissano in maniera particolare, i respiri addirittura si mozzano. Di che massacri immaginari non sono mai responsabili la noia e l’ozio della provincia? È come infatti se la pietra del marciapiede antistante debba essere squarciata all’improvviso dall’esplosione di una mina di cui il piede del forestiero, dell’ignaro, sia in procinto di urtare inavvertitamente il detonatore. Oppure come se una rapida sventagliata della mitragliatrice fascista che sparando appunto lì, da sotto il portico del Caffè della Borsa, in una notte di dicembre del 1943 abbatté lungo il medesimo marciapiede undici cittadini, possa far compiere all’incauto passante l’identica breve, orribile danza tra sussulti e contorsioni che nell’attimo della morte senza dubbio compirono, coloro che la Storia ha da anni consacrato quali le vittime in ordine di tempo della guerra civile italiana.

Niente di questo accade, si capisce. Nessuna mina scoppierà, nessuna mitragliatrice tornerà a crivellare di pallottole il muretto opposto. Per modo che alla persona di fuori, venuta a Ferrara, poniamo, per ammirarvi le bellezze artistiche, sarà consentito di passare dinanzi alle piccole targhe marmoree che portano incisi i nomi dei loro fucilati senza che il corso dei suoi pensieri abbia a soffrire del minimo turbamento.

Eppure talvolta qualcosa accade.

Si ode a un tratto una voce. È una voce non forte, bianca e incrinata come l’hanno i ragazzi alle soglie della pubertà. E poiché esce dal gracile petto di Pino Barilari, il titolare della farmacia attigua, che, affacciato a una finestra dell’appartamento soprastante, rimane invisibile a quanti siedono dal basso, per ultimi anni è sul serio come se scendesse dal cielo. La voce dice: “Badi a lei, giovanotto!”; oppure: “Attenzione!” […] E non è, ripeto, he ciò venga urlato. Suona piuttosto come un avvertimento bonario, come un consiglio espresso col tono di chi non si aspetti di essere udito, né, in fondo, abbia molta voglia di farsi udire. E così il turista, o chiunque altro si trovi a calcare in quell’istante il marciapiede che ogni vero ferrarese evita, continua di solito per la sua strada senza dar mai segno d’avere inteso quello di cui si sta avvertendolo.

Lo intendono perfettamente in vece sua, già l’ho detto, gli avventori del Caffè della Borsa.

Lo svagato forestiero è appena in vista, e subito le conversazioni si fanno meno vivaci. Gli occhi si fissano, i respiri si mozzano. Si accorgerà, quel tale, prossimo a servirsi come se nulla fosse del marciapiede della fucilazione, di star compiendo un’azione da cui farebbe molto meglio ad astenersi? Alzerà o non alzerà finalmente la testa, colui, dalla Guida del Touring? Ma soprattutto scenderà o non scenderà a un dato punto dall’alto, aerea e assurda, ironica e triste, la voce dell’invisibile Pino Barilari? Forse sì. Forse no. L’attesa dell’evento ha spesso dello spasmodico: né più né meno che si trovassero ad assistere a una gara sportiva dall’esito particolarmente incerto.

“Ehi!”

Di scatto, dinanzi agli occhi di ogni mente, l’immagine del farmacista affacciato a una finestra dell’appartamento superiore. Per questa volta dunque lui c’è: seduto al davanzale, in vedetta, con le braccia magre, bianchissime e pelose levate a puntare in direzione di chi passa e non sa le lenti scintillanti di un binocolo da montagna. E in molti dei rintanati all’ombra protettrice del portico si fa ancora più vivo il sollievo di trovarsi dove si trovano piuttosto che là allo scoperto, alla berlina.»

(G. Bassani, Una notte del ‘43, in Opere, Il romanzo di Ferrara, Mondadori 2001, p. 173s.)

 

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara

Autore

  • Barbara Pizzo