Max Ascoli e Ferrara - page 12

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Introduzione
La storia del Padiglione oculistico “Adriana Ascoli” dell’Arcispedale S. Anna di
Ferrara è pressoché sconosciuta agli abitanti della città ed ai pazienti, che gior-
nalmente lo frequentano, sicuri di trovarvi ottime competenze professionali ed
una disponibilità all’accoglienza, peculiarità proverbiali di questo reparto ospe-
daliero.
La struttura, donazione del ferrarese Max Ascoli, membro della locale comunità
ebraica, alla città dei suoi natali, è stata celermente realizzata nell’immediato
dopoguerra, con una capienza di 72 posti letto ed attrezzata con ambulatori e
sale operatorie.
Il generoso concittadino, esule negli Stati Uniti dal 1931 perché schedato, sotto-
posto a stretta sorveglianza ed incarcerato come antifascista, in tal modo volle
contribuire personalmente, a guerra finita, alla ricostruzione civile della propria
città.
Interessato, fin dal periodo giovanile, alle problematiche della sua terra, obera-
ta, soprattutto nel periodo 1897-1924 dalla questione agricola e dalla conflittua-
lità tra lo strapotere dei grossi agrari ed una esorbitante massa di sottoccupati e
disoccupati, aveva chiaramente individuato le effettive possibilità di una con-
creta soluzione dell’endemica povertà della provincia. Il problema del Ferrarese
poteva essere risolto non tanto con un repentino cambiamento dei lavoratori
delle campagne in operai di fabbriche, avulse dal tessuto storico-sociale del ter-
ritorio, quanto piuttosto “
con la costruzione di opere coloniche nelle grandi ter-
re di bonifica, educando i lavoratori alla gestione diretta della proprietà con
cooperative di produzione e con affittanze collettive
”(Ascoli, 1924 c). Soluzioni
innovative, ma considerate a quei tempi, rivoluzionarie e destabilizzanti del po-
tere e per questo perseguite dal regime, che negava il tentativo di costituire nel
Paese uguali garanzie di sviluppo per ognuno.
Il fascismo, infatti, con una serie di vessazioni, aveva ostacolato la carriera ac-
cademica della studioso ferrarese, e gli aveva negato il rientro in patria, pena
l’arresto, per assistere la madre, costretta, alla fine, ad una quasi assoluta cecità.
La donazione all’Arcispedale S. Anna costituiva allora la sintesi concreta del su-
peramento delle angherie subite in nome di una partecipazione attiva alla ri-co-
struzione, nella propria terra di democratiche condizioni di vita.
In tal maniera acquistava un preciso spessore nella prassi anche l’esito finale
del suo percorso “liberal” di pensiero. Infatti, se le premesse teoriche di questo
iter ponevano l’uomo come essere libero, in grado con l’esplicitazione dell’atti-
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