MEIS versione Beth[a] all'inizio di un percorso lungo 22 secoli - page 16-17

del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, il
grande apporto che l’ebraismo italiano ha voluto e saputo dare,
e sempre reclamato, alla propria Patria: cultura, arte, musica,
letteratura, filosofia, lavoro, economia, imprenditoria, ma
anche impegno civile, sociale, politico sono i grandissimi con-
tributi che gli ebrei italiani hanno dato lungo la loro più che
bimillenaria storia in Italia. E vite, quante vite, sacrificate per la
Nazione! Per dirla con Winston Churchill, mai così pochi
fecero così tanto per così molti. E attraverso il ricordo di que-
ste vite perdute, gli italiani, tutti, adempiranno ad uno dei pre-
cetti fondamentali dell’ebraismo: la conservazione della
Memoria. La Memoria che è, e deve restare, uno dei valori fon-
danti della nostra Repubblica.
MEIS Versione Beth[a] e 2.0: il museo di là dal fiume
Nei documenti legali ebraici italiani, dai contratti matrimoniali
agli atti divorzio, dagli atti notarili alle dichiarazioni di morte, le
città sono sempre definite da un fiume o due e da una fonte:
Roma è la città posta sul Tevere, Lugo di Romagna è il luogo
fra i fiumi Senio e Santerno, Ferrara è la città sul Po.
Proprio sulla darsena del Grande Fiume si affaccerà il Museo
Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, una nuova casa
in cui gli italiani, tutti, ritroveranno la propria storia anche se
raccontata da una prospettiva, forse, inusuale.
Nelle sue ampie sale verranno raccontati ventidue secoli di
Storia e di storie. Qui e là appariranno come nelle pagine della
Bibbia ebraica personaggi grandi e non che, attraverso il rac-
conto della propria vita singolare, narreranno la grande Storia
dell’intero piccolo popolo che sono stati e sono gli ebrei italiani
e di una grande nazione, l’Italia. Come nella Torà, si mescole-
ranno narrazioni eroiche, grandi miracoli del Santo Benedetto,
regole, leggi, tradizioni. Non sarà un museo di oggetti, ma un
museo che con la scusa dei prodotti della straordinaria creati-
vità nostrana, ebraica ma non solo, racconterà e rappresenterà
concetti e soggetti.
Si troveranno e si proveranno nuove tecnologie e nuovi lin-
guaggi espositivi. Entrare al MEIS sarà un po’ come sfogliare
un bel libro, le illustrazioni e le loro didascalie il pretesto per
dire molto molto di più. Al libro, tra l’altro, allude il progetto
architettonico che ridisegnerà, pur conservandolo, il vecchio
carcere di via Piangipane, aprendo, spalancando, alla cultura,
alla conoscenza, all’integrazione un luogo che era simbolo di
chiusura, emarginazione, degrado.
Non a caso con un’esposizione di libri e documenti di ogni
genere e di ogni epoca inizia questa nostra versione Beth(a),
questo primissimo e certo incompleto esperimento del lin-
guaggio espositivo che prenderà forma compiuta, fra qualche
anno, nel MEIS 2.0.
Far nascere il MEIS sarà un’avventura complessa, a volte pro-
prio difficile, ma anche molto entusiasmante. L’augurio è che,
da qui alla
release
ufficiale, sia sempre possibile confidare in
quella stessa sapiente
chutzpa
, faccia tosta, che mai è venuta
meno agli italiani tutti, ebrei e non ebrei.
15
questo «non giudicare gli altri con severità, sii saggia e
sapiente, e impara in continuazione». E un nastro registrato sul
magnetofono a bobine, dove ripete incessantemente: «Cocca,
mangia!»
«Il mio cuore gioisce nel Signore. Il Signore mi ha
reso forte» (Sam. 2:1): Anna l’Orante
La nonna Ada sedeva sempre con un piccolo lavoro in mano –
l’uncinetto, i ferri da calza, l’ago da ricamo, l’uovo per il ram-
mendo – mentre mi seguiva nei compiti di scuola. Sapeva reci-
tare splendidamente le poesie che dovevo imparare a memoria
e mi raccontava le affascinanti storie della sua famiglia nel
Risorgimento. Non sapeva l’ebraico e il giorno di Kippur
sedeva al tempio con un piccolo libro di preghiere azzurro, “Il
cuore israelitico”, dove si leggeva in italiano un ebraismo
severo e strabordante di senso etico. Odiava far da mangiare.
Non l’ho mai vista con un grembiule da cucina addosso: diceva
che era stato il nonno Guido ad imporglielo, pena il divorzio. I
suoi discorsi erano un po’ dolenti, ma sempre carichi di
immenso amore per il suo Guido, i suoi figli, i suoi nipoti.
Amava tutto ciò che è bello, l’arte, la musica, soprattutto i
buoni libri. Era molto colta, la sua formazione, direi, risorgi-
mentale, laica e liberale. Ed era sempre elegantissima. Quando
ero bimba piccola, mi scrisse una lunghissima lettera che
divenne un libro rosso dattiloscritto, dedicato a tutti i suoi cin-
que nipoti. Raccontava di una storia prodigiosa, fatta di eroi
contadini, di valli paludose nella bassa Romagna, di partigiani
in bicicletta e della beffa più straordinaria giocata ai tedeschi
negli anni terribili del nazismo. Mi ha cresciuta con un impera-
tivo, che chiude il libro rosso: «Nella sera di Pasqua la tua
mamma ti dice: “Noi celebriamo questa sera, la
NOSTRA
uscita
dall’Egitto”, perché il Santo Benedetto non liberò soltanto i
nostri Padri, ma noi pure liberò insieme a loro. Questo ti dice
la mamma e questo racconterai ai tuoi figli insieme ai prodigi
che fece il Signore all’uscita dall’Egitto.» Quando è mancata
mi ha lasciato una scatola piena di fogli di carta velina, col
manoscritto del libro rosso, la complicità di tanto tempo pas-
sato assieme a studiare, la passione per libri belli. E un consiglio
frivolo: «Ricordati sempre di indossare qualcosa di chiaro
vicino al viso, ti riempie di luce.»
Queste due donne così diverse, che hanno segnato indelebil-
mente la mia vita, avevano tre cose in comune: di Shabbat e nei
giorni di Festa Ebraica non cucivano, non facevano la calza, non
ricamavano; avevano una fede incrollabile nel Dio Uno e
Unico; sapevano con una certezza preveggente che il loro
discendenti sarebbero stati (avrebbero dovuto essere) dei
buoni ebrei. Le generazioni della nonna Marianna sono ormai
cinque, quelle della nonna Ada tre: tutti i loro discendenti sono
buoni ebrei, qualsiasi cosa questo, per ognuno di loro, significhi.
Abramo, l’uomo che viveva di là dal fiume
Avraham ivrì
è il nome che viene dato nella Genesi ad Abramo,
il primo ebreo (es. Gen 14:13-16). I saggi dicono in un
midrash
(Ber. R. 42.13) che il termine “
ivrì
”, tradotto poi in l’ebreo,
porta in sé la radice di “
ever
”, che vuol dire oltre, di là, dall’altra
parte. Abramo era l’uomo che letteralmente viveva dall’altra
parte del fiume Eufrate. Ma Abramo il patriarca porta nel suo
nome il segno della diversità, dell’anticonformismo e forse
della grande solitudine dell’unico monoteista dei suoi tempi,
nelle terre dei tanti dei.
La diversità degli ebrei è stata nel corso dei secoli quasi sempre
considerata una colpa, la scusa per metterli “al di là” di muri alti
e chiusi, l’imputazione alla base di grandi cacciate e di incom-
mensurabili stermini.
Ma la varietà, l’anticonformismo, l’eterogeneità che hanno
sempre rappresentato l’ebraismo in realtà sono valori grandi,
oggi finalmente pienamente riconosciuti nelle società avan-
zate, libere e democratiche nelle quali gli ebrei vivono, cittadini
uguali e a pieno titolo.
Siamo perciò immensamente grati allo Stato Italiano che ha
voluto riconoscere, con l’atto simbolico (e in un periodo di
così grande crisi, anche molto generoso!) della realizzazione
14
* La traslitterazione utilizzata in catalogo è solamente fonetica e non scientifica; per i
significati dei termini in ebraico si rimanda al glossario in fondo al volume.
1,2,4-5,6-7,8-9,10-11,12-13,14-15 18-19,20-21,22-23,24-25,26-27,28-29,30-31,32-33,34-35,36-37,...62
Powered by FlippingBook