MEIS versione Beth[a] all'inizio di un percorso lungo 22 secoli - page 30-31

Vittorio Emanuele II tenne fede all’impegno preso da suo padre
Carlo Alberto nei confronti degli ebrei e degli italiani, tutti, esten-
dendo, via via che venivano annessi al Regno di Sardegna i vari terri-
tori della penisola, lo Statuto Albertino e mantenendo in vigore il
decreto del marzo 1848 e la legge del luglio dello stesso anno. Di pari
passo crebbe negli ebrei italiani l’amore di patria e la volontà di par-
tecipazione attiva alla vita politica e alle battaglie del Risorgimento. Il
segretario particolare di Camillo Benso conte di Cavour fu per quat-
tro anni, dal 1858 alla morte del Gran Ministro, Isacco Artom.
L’allora giovane (era del 1829) statista e patriota si era arruolato nel
1848 e, ancora studente, aveva tra l’altro partecipato alle battaglie di
Curtatone e Montanara; dopo la laurea, era stato assunto al Ministero
degli Esteri. Leggiamo da un articolo apparso su «L’Opinione» il
primo agosto 1860, nel quale Cavour difese Artom dagli attacchi
apparsi sul giornale «L’Armonia», di tendenze assai clericali: «Non
vi sono fatti della politica di cui maggiormente mi compiaccia, che di
aver potuto scegliere a collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno
de’ negozi più delicati e difficili, prima Costantino Nigra, poscia
Isacco Artom. Giovani di religione diversa, ma del pari di ingegno sin-
golare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo.»
Ma nessuno descrive meglio di Amelia Pincherle Rosselli (scrittrice e
autrice di teatro, straordinaria madre dei fratelli Aldo, Carlo e Nello
Rosselli, tutti e tre morti per l’Italia: Aldo in Carnia nel 1916, durante
la prima guerra mondiale, Carlo e Nello uccisi in Francia nel 1937 su
mandato dell’OVRA fascista) l’amore degli ebrei italiani per l’Italia.
In casa Pincherle, la Patria è «una religione tenuta in pari conto in
famiglia di quella ebraica» e, per questo, nei suoi ricordi di bimba, la
notizia della morte di Vittorio Emanuele II, diventa un lutto grave e
strettamente privato: la madre ricama e, quando il marito rientra,
domanda piano quasi timorosa: «“Come stalo?” Un attimo di silen-
zio. Poi, la voce di mio padre, rauca: “El xe morto!”» La madre batte
un pugno fragoroso sul tavolo e scoppia in un pianto dirotto. Amelia,
ancora piccola, con trepidazione le chiede: «“Mamma perché piangi?
Chi xe che xe morto?” “El Re” rispose, invece di lei, papà.»
Si veda Amelia Pincherle Rosselli,
Memorie
, Bologna 2001.
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Pochissimi giorni prima delle cinque giornate di Milano e alla vigilia
della prima guerra d’Indipendenza, il 4 marzo 1848, re Carlo Alberto
promulgò lo Statuto Fondamentale del Regno di Sardegna nel quale
concedeva i primi diritti democratici ai propri sudditi. In quella che poi
rimase in buona sostanza la Costituzione del Regno d’Italia fino al 1946,
la religione cattolica veniva definita Religione di Stato e tutti gli altri
culti venivano solo tollerati. In realtà il 17 febbraio Carlo Alberto aveva
già decretato l’emancipazione dei protestanti valdesi. E il 29 marzo fu la
volta degli ebrei. Il Regio Decreto 688 afferma: «Gli Israeliti regnicoli
godranno [...] di tutti i diritti civili e della facoltà di conseguire i gradi
accademici, nulla innovato quanto all’esercizio del loro culto, ed alle
scuole da essi dirette.» In seguito, una legge emanata dal primo parla-
mento, che il 29 giugno dello stesso anno riunì tutti i cittadini di fedi
diverse da quella di Stato, specificò in un unico brevissimo articolo: «La
differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e
politici, ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari.»
Gli ebrei, finalmente cittadini uguali agli altri, esultarono.
Ma queste pochissime parole che cambiarono la vita di alcune decine di
migliaia di sudditi prima delle terre del Regno di Sardegna e poi via via
di tutta la penisola, di lì a 13 anni Italia unita, furono frutto di anni di bat-
taglie di tanti politici italiani, ebrei ma in solo.
Ad esempio, Giacomo Dina, poi direttore de «L’Opinione», “il”
giornale di Cavour, iniziò la carriera giornalistica pubblicando un arti-
colo sul «Messaggere torinese», il 26 novembre 1847, che s’intito-
lava
Desideri e Speranze
, nel quale affermava che non avrebbe potuto
esserci vera unificazione nazionale senza l’emancipazione dei suoi
correligionari. E Giuseppe Mazzini scriveva negli stessi mesi a Carlo
Alberto: «[Gli ebrei italiani] hanno cuore italiano, e italiane braccia;
vivacità e genio italiano… Sono membri della nazione Italiana… ne
formano parte integrante.»
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Grande Storia: desideri e speranze
Grande Storia: Viva Vittorio Re ovunque echeggia
Eliahu ha-levi, Componimento poetico in ebraico in onore di Carlo Alberto e dell’avvenuta emancipazione, Alessandria, 29 marzo 1848
Ferrara, Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, Collezione gianfranco Moscati
Rav Castelbolognesi, Componimento poetico
Per la trionfale
venuta di Sua Maestà Re Vittorio Emanuele nella Toscana e
nell’Emilia
Ferrara, Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e
della Shoah, Collezione gianfranco Moscati
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