Ebrei a Ferrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura - page 14

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esercitare le cose pertinenti all’Arte dei
Merciai, l’obbligatorietà ad avere una loro
bottega, pagare ed osservare ciò che gli
Statuti e i decreti dell’Arte stabilivano.
Ugualmente nell’Arte dei
Drappieri
si trovano
molti operatori ebrei: lo si
evince anche dai
Libri
di entrata e di
uscita dell’Arte per gli anni 1648-1669;
così per gli anni 1669-1772, e la notizia
che per l’anno 1760 gli ebrei cestaroli fu-
rono condannati a pagare la metà
dell’obe-
dienza
; lo stesso per gli anni 1773-1797,
ove al termine di ogni annualità venivano
indicati i nomi degli obbedienti ebrei. Al-
tresì per il 1785 in cui era
massaro
Ubaldo Matuelli.
Il 25 maggio 1616 il cardinale Le-
gato
Giacomo Serra concesse, all’Arte
della Seta della città di Ferrara, i Capitoli,
parte dei quali emanati dal suo predeces-
sore il cardinale Legato Orazio Spinola e
in parte modificati.
Dei 39 Capitoli, il
quattordicesimo esordisce sottolineando
non essere conveniente che in un’Arte così
principale
si ammettano e si accettino gli
ebrei, tuttavia continua «non si vuol però
ne anche per benefizio di questa piazza
impedir loro del tutto l’esercitarla». Per-
tanto agli ebrei sia forestieri sia ferraresi
di nascita era concesso esercitare l’Arte
della Seta anche se con limitazioni che
contemplavano la sola apertura di quattro
botteghe di «drapperia intiera, e schietta
di seta, e non mista d’altre merci» e la no-
mina dei
padroni
di quelle botteghe s’in-
tendeva
espressamente
riservata
al
Cardinale Legato.
Quattro i nomi indicati
nel Capitolo degli Statuti:
Vital Bren,
Neptalin Vitta, Benedetto de’ Sacerdoti,
Jacob da Carpi
. Le restrizioni interessa-
vano anche quegli ebrei che avevano
bot-
teghe mist
e, ossia costituite da drappi di
seta e da altre merci, ai quali era vietata
l’apertura indiscriminata di altre analoghe
botteghe e li si obbligava ad investire la
metà del loro capitale in drapperia di seta.
Era inoltre concesso agli ebrei - giacché
era loro riconosciuto dall’autorità legatizia
avere traffici «e corrispondenze in diverse
parti», principalmente di drapperia di
seta, che consentivano loro di richiamare
verso la piazza di Ferrara denaro e merci -
di lavorare e far lavorare per il commercio
esterno finalizzato all’esportazione della
produzione.
Ma poiché la preoccupazione
del governo della città era quella di scon-
giurare il
monopolio dei
mercanti ebrei
«nella sola Nazion loro tutto il commer-
cio» a danno dei cristiani, proibiva espli-
citamente a coloro che lavoravano, o che
avrebbero fatto lavorare, «per fuori» di
vendere, o far vendere, drappi all’interno
della città e di destinarli invece al
mercato
forestiero. E, disciplinava il Capitolo, poi-
ché agli ebrei «si concede esercizio sì no-
bile, e dal quale sono per ricevere
guadagni notabili, e grandi, è ben anco ra-
gionevole, che contribuiscano qualche
onesta ricognizione all’Arte». L’autorità
veniva al dunque: gli ebrei avrebbero do-
vuto «pagare per una volta sola all’Arte»,
venticinque lire i ferraresi, trentacinque i
forestieri, e annualmente «per la tolle-
ranza, e per la rinovazione della licenza»
versare, senza eccezione alcuna, i ferraresi
lire tre, i forestieri lire quattro, in moneta
ferrarese. Si prevedeva per disattesa ot-
temperanza del
Capitolo e delle disposi-
zioni indicate in esso e nel caso di
accertata frode,
ipso facto
l’impossibilità in
perpetuo di esercitare, o di far esercitare,
l’arte, nonché l’espulsione.
Nonostante le disposizioni dei car-
dinali Spinola e Serra, l’Arte della Seta
non riuscì ad uscire dal suo isolamento. I
provvedimenti presi dall’autorità legatizia,
per incentivare, potenziare e organizzare
anche a Ferrara una produzione qualifi-
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cante della lavorazione di drappi di seta e
l’apertura del commercio di essa, non
diede i risultati auspicati. Le manifatture
della seta, sviluppatesi e decadute a fasi al-
terne, soffrirono di fatto di forti gravami
derivati da un opprimente sistema d’im-
poste che ne mortificò la crescita e l’aper-
tura ad un panorama non esclusivamente
localistico.
Una grida emanata dal cardi-
nal Spinola dell’11 giugno 1613 e un
bando del cardinale Serra del 3 giugno
1616 disponevano che tutti i sensali da
seta, sia cristiani sia ebrei, per poter eser-
citare l’Arte della Sensaria dovessero ver-
sare duecento scudi al notaio dell’Arte.
Il pontefice
Urbano VIII con il
Breve del 7 agosto 1638 confermò e ap-
provò gli Statuti dell’Arte dei Sarti della
città di Ferrara: fra i nuovi Capitoli il
terzo disciplinava l’attività degli ebrei che
esercitavano l’Arte della Sartoria. L’
incipit
del Capitolo focalizza immediatamente
l’attenzione sull’autorità accreditata agli
Ufficiali dell’Arte e sulla consapevolezza
dell’importanza che la conoscenza degli
Statuti non poteva prescindere dall’eser-
cizio dell’Arte. Il Capitolo stabiliva infatti
che nessun ebreo, sia maestro che lavo-
rante, che non fosse stato prima
approvato
dagli Ufficiali e in osservanza degli Statuti
dell’Arte, potesse lavorare «in drappi
nuovi e tagliati, dalla pezza, o da loro, o
da altri, pigliandone le
misure o per
mezzo di stampe, o di dieme siano di
qualsivoglia materia, o sorte», senza aver
ottenuto la licenza, in forma scritta, dai
Massari e dai Sindaci dell’Arte. Inoltre,
ogni anno, in occasione della festa del
protettore dell’Arte, Sant’Omobono, era
obbligo dei
maestri e dei lavoranti ebrei
pagare, nelle mani del
Massaro, rispetti-
vamente venti e dieci soldi; l’avvenuto
versamento, affinché avesse valore, doveva
essere riportato, dal
Massaro medesimo,
sul libretto che ogni iscritto aveva l’ob-
bligo di esibire in caso di accertamenti.
Alcune note documentarie atten-
gono all’antica Arte dei Sarti: è del 1673
una vertenza tra l’Università degli ebrei e
l’Arte dei Sarti in merito alla trasgressione
di
Capitoli di cui viene messa in discus-
sione la validità; degli anni 1676-1680 il
processo dell’Arte dei Sarti contro i sarti
ebrei che si rifiutavano di pagare la tassa
per la processione del
Corpus Domini
; an-
cora, del 1703 il processo dell’Arte dei
Sarti contro Moise Lampronti condan-
nato per aver esercitato l’arte senza licenza
del
Massaro.
Piuttosto esplicito e risoluto il Capi-
tolo 23 degli Statuti dell’Arte dei Frutta-
roli,
Casaroli, e Confortinari confermati
e approvati, il 15 dicembre 1750, dal car-
dinale Legato Camillo Paulucci. Il
Capi-
tolo proibiva al
Massaro
pro tempore
e alla
Congregazione dei Trenta Uomini
matri-
colati, che componevano l’annuale reg-
genza
dell’Arte,
di
accettare
nella
medesima, per uomo
matricolato, un
ebreo di qualunque stato, grado e condi-
zione.
Gli ebrei potevano essere ammessi
solo in qualità di obbedienti perciò ogni
anno, per tutto il
mese di giugno, avreb-
bero dovuto recarsi presso il
Massaro
pro
tempore
a prendere la loro licenza e a ver-
sare quanto gli obbedienti cristiani, pena
per l’inosservanza la cassazione dall’Arte.
Resta memoria di condanne, appli-
cate dai
Massari e dai Sindaci dell’Arte
degli
Orefici, di pagamenti agli ebrei ore-
fici, per mancanze commesse, estratte da
Bartolomeo
Missoli dai
Libri
dell’Arte
l’anno 1669. L’elenco registra le sanzioni
disposte dal 1599 al 1670 agli ebrei tro-
vati inosservanti dei
Capitoli: talvolta si
tratta di reiterazioni di reato che hanno a
che fare con l’esecuzione dei
manufatti e
sovente coinvolgono le stesse persone. I
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