Ebrei a Ferrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura - page 5

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La lunga permanenza ebraica a Fer-
rara (attestata già nel 1227 dal lascito testa-
mentario di un gentile a
Sabatinus iudeus
)
aveva preso avvio da una migrazione di pre-
statori romani in epoca altomedievale che
hanno ottenuto il riconoscimento dello
sta-
tus
nell’ultimo quarto del
Duecento,
quando il governo della città si è impegnato
ad osservare in modo scrupoloso le immu-
nità concesse agli ebrei dal vicario e dal con-
siglio generale cittadino, includendo questa
deliberazione negli Statuti. La vitalità cul-
turale della comunità ferrarese è ravvisabile
nell’attività del rabbino Moshè ben Meir da
Ferrara, glossatore e talmudista, di
Meir
ben Moshè da Ferrara, autore di scritti ri-
tualistici, e dello scriba Ionathan ben Abie-
zer ha-Coen da Ferrara.
Del 1239 è noto
anche il responso legale del rabbino Izhak
ben Mosè da Vienna che riporta un riferi-
mento al tribunale rabbinico di Ferrara: un
bet-din
può essere istituito solo con collegio
di almeno tre esperti di legge ebraica che
Ferrara poteva assicurare già nel XIII secolo.
A cavaliere fra Due e Trecento, l’In-
quisizione ha sottoposto ad indagine e per-
seguito alcuni ebrei ferraresi, fra cui anche
un medico. Variavano dalla semplice pena
pecuniaria sino al rogo le condanne inflitte
ad apostati ed a chi li aveva favoriti.
Dal-
l’inizio del governo di Casa d’Este, con le
condotte che regolavano la permanenza dei
prestatori è incominciato un periodo di sta-
bilità: gli ebrei hanno goduto della benevo-
lenza dei Signori di Ferrara, che ha
permesso alla società ebraica locale di rag-
giungere un benessere complessivo, riflesso
delle aziende bancarie dislocate in diverse
località del territorio e che hanno servito gli
stessi Estensi.
Oltre a vari altri nuclei sparsi
più piccoli, si sono sviluppate comunità
ebraiche nel capoluogo ferrarese ed a
Cento, Lugo,
Mirandola, Carpi, Scan-
diano, Correggio,
Modena, Reggio, Ar-
genta, Brescello, Sassuolo e Finale.
Alla metà del ’400, al primo gruppo
di origine italiana si sono affiancati ebrei
mitteleuropei, gli askenaziti, i quali si sono
integrati con le stesse concessioni e limita-
zioni che erano già state attribuite ai ‘locali’:
erano permessi il prestito ad usura e su
pegno, l’artigianato e il commercio, seb-
bene siano sporadici i casi in cui ebrei siano
stati accolti nelle corporazioni. La cittadi-
nanza ferrarese,
conditio sine qua non
per di-
venire proprietario di un immobile, è stata
accordata in via eccezionale ai maggiori
esponenti delle aziende di prestito che po-
tevano godere di altri privilegi: l’esenzione
ad indossare il
segno
, il diritto ad essere giu-
dicati dal solo Giudice dei Savi in qualsiasi
controversia, l’autorizzazione a portare armi
per difesa e ad allestire oratori, seppure per
uso privato. Nel 1481, il
foenerator
Mele da
Roma ha istituito la fondazione della sina-
goga pubblica che era ospitata nella fab-
brica sede
del
banco
dei
Sabbioni,
acquistata allo scopo di cederla in perpetuo
agli ebrei di Ferrara. Solo alla metà del se-
colo seguente, l’accresciuto numero di ebrei
spagnoli e portoghesi (che hanno costituito
la colonia sefardita) ed askenaziti porterà
alla realizzazione delle sinagoghe per i rela-
tivi riti.
Gli inviti rivolti dai duchi d’Este ad
iberici e levantini perché si stabilissero a
L
a presenza ebraica a Ferrara
Ferrara sono stati una mossa vincente per
l’economia locale poiché i nuovi innesti
hanno rinnovato le energie materiali ed
anche spirituali della comunità ferrarese:
dalle famiglie più prestigiose si allargava
una fitta rete di legami familiari, culturali e
finanziari con le comunità ebraiche sparse
nel
Mediterraneo e non solo. Sicure della
protezione estense, le famiglie più solide ne
raccoglievano altre attorno a loro, dedite
alle più svariate attività e ciascuna, a sua
volta, apportatrice di un consimile intreccio
di relazioni con i correligionari delle colonie
di altre città e di altri paesi, a consolidare il
ruolo predominante della comunità ebraica
ferrarese nel panorama italiano ed interna-
zionale. Proprio a Ferrara ha ripreso a pra-
ticare
apertamente
l’Ebraismo
un
imprecisato numero di
marrani, termine
dispregiativo che, in terra iberica, indicava
i giudaizzanti costretti a dichiararsi cristiani
che anelavano a ritornare alla religione dei
Padri. Significativo è il decreto emanato da
Ercole II nel 1555 e poi riconfermato da
Alfonso II, rivolto all’accoglimento degli
ebrei della diaspora iberica: era indirizzato
a
Spagnuoli e Portoghesi di stripa
[= stirpe]
Hebrea
. Volutamente generica, la dizione si
adattava ad ebrei dichiarati, a cripto-giudei
ed a marrani. Nel ducato estense hanno tro-
vato ospitalità anche i fuggitivi da Bologna,
a causa della reclusione in ghetto nel 1556
e dopo il bando di espulsione del 1593.
Non sono mancati episodi sporadici
di allineamento alle richieste papali: il ci-
clico rinnovo dell’editto che ordinava di in-
dossare
la O in lo petto di giallo cusito
, la
pubblica disputa su temi religiosi cui è stato
obbligato l’erudito Abram Farissol, il rogo
dei Talmud nel 1553. Ad esclusione di que-
st’ultimo atto, le altre limitazioni sono state
vissute come marginali e non hanno avuto
influenza sulla vita economica e spirituale
della cosmopolita colonia ebraica ferrarese:
non stupisce che Samuel Usque abbia chia-
mato Ferrara
il rifugio d’Italia più sicuro
che
potesse dare ricetto ad un ebreo, nel
Cin-
quecento. Il poeta sefardita esprimeva la
profonda tranquillità di vivere fra le sicure
mura estensi ed il sollievo di praticare in
fine la religione dei Padri da parte di chi
aveva subito ogni genere di sopruso, dalla
confisca dei beni all’espulsione, dalla reclu-
sione in ghetto alla condanna a morte.
Dalla metà del XVI secolo, proprio per la
vivace presenza di rappresentanti dell’ari-
stocrazia sefardita, a Ferrara si è sviluppata
un’intensa produzione tipografica che ha
avuto come oggetto in particolare le volga-
rizzazioni spagnole delle preghiere ebraiche,
indirizzate ai cripto-giudei ritornati al-
l’Ebraismo, prima fra tutte la
Biblia espa-
ñola
o Bibbia di Ferrara stampata nel 1553.
La morte di Alfonso II ha determi-
nato una netta cesura: il 1598 segna lo spar-
tiacque fra quella che era stata l’attività
culturale e l’economia di Ferrara capitale
del ducato estense, con la vita del presidio
militare pontificio al confine dello stato.
Nel rapido rinchiudersi su se stessa della
città è stata coinvolta anche la comunità
ebraica in tutti i suoi aspetti: con la devo-
luzione alla Santa Sede, la produzione edi-
toriale è declinata rapidamente e sono state
ridimensionate molte altre imprese econo-
miche. Le fasi della limitazione della libertà
degli ebrei ferraresi si sono susseguite a
ritmo rapido. Nel 1602 l’alienazione forzata
degli edifici in possesso degli ebrei, uno dei
primi provvedimenti presi dal Cardinale
Legato Cennini, era ormai ultimata. Le li-
berali terre degli Estensi conoscevano le im-
posizioni
già in
vigore
nello
Stato
Pontificio, fino all’editto del 1624 che isti-
tuiva il ghetto, la cui realizzazione è stata
ultimata nel giro di 3 anni con il trasferi-
mento forzato di alcune centinaia di fami-
glie
nella
piccola
area
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