Ebrei a Ferrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura - page 10

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Documenti relativi ai diversi aspetti
della persecuzione razziale, attuata dal re-
gime fascista, si possono ritrovare sia tra le
carte della Prefettura sia tra quelle della
Questura che conserva quello che è forse
il
corpus
qualitativamente principale: i 168
fascicoli della categoria A8 “Persone peri-
colose per la sicurezza dello Stato”, inte-
stati ad ebrei, in gran parte aperti a partire
dal dicembre 1943, 16 dei quali prima
dell’emanazione delle leggi razziali. La ti-
pologia documentaria in essi conservata è
estremamente varia: stati di famiglia, rela-
zioni dei pedinamenti, verbali di interro-
gatorio,
richieste
di
autorizzazione,
certificati
medici, elenchi di beni seque-
strati. Un elemento spicca, però, all’in-
terno di questo
materiale: le lettere,
censurate e non, che, anche se solo in
parte, tratteggiano, gli stati d’animo degli
ebrei dopo l’emanazione dei provvedi-
menti razziali: «Le recenti disposizioni in
materia razziale - scrive Aurelia Scandiani
- hanno molto turbato la mia anima di
perfetta italiana e mi addolora l’afferma-
zione ch’io possa essere considerata stra-
niera e
nemica
della
Patria».
Aveva
partecipato alla marcia su Roma e la so-
rella era stata la prima segretaria del fascio
femminile ferrarese: «Posso io quindi con-
siderarmi nemica della Patria? Lascio la ri-
sposta a chi
mi dovrà giudicare ma per
ultimo aggiungo che ho quasi settanta
anni, che mi sento vecchia, ammalata e pe-
nosamente avvilita e la infelicissima pro-
spettiva di un campo di concentramento
turba in modo indicibile il
mio spirito».
L’antisemitismo italiano portò, a par-
tire dal 1940, alla nascita di campi di de-
tenzione dove vennero inviati anche diversi
ebrei ferraresi, allontanandoli dalle famiglie,
dalle proprie attività lavorative ed impren-
ditoriali. I fascicoli personali testimoniano
anche questo aspetto, attraverso le richieste
di permessi inoltrate alla polizia per tornare
temporaneamente a casa, o ancora le lettere
di mogli e madri che supplicavano di resti-
tuire ai propri famigliari il marito o il figlio.
Nino Contini, per esempio, venne inter-
nato alle isole Tremiti ed a Pizzoferrato per-
ché accusato di contrabbando valutario, di
finanziamento dei repubblicani spagnoli e
di aver organizzato un comitato di soccorso
per i «correligionari» espulsi dalla Germa-
nia, riuscendo, talvolta, a farli espatriare in
Palestina.
Tra le altre figure spiccano quella di
Carlo Hanau, schedato sin dal 1908 per-
ché «pericoloso repubblicano», venne ri-
petutamente
diffidato
dalla
questura
assieme ai figli. Il «suo comportamento ha
provocato frequentemente il risentimento
dell’elemento fascista e nel 1938, trovan-
dosi in un esercizio di caffè sito nel centro
della città, per avere un giorno pronun-
ciato una delle sue consuete frasi antifa-
sciste, fu malmentato da alcuni fascisti
che, fra l’altro, gli imposero di non fre-
quentare più oltre detto esercizio, a scanso
di gravi conseguenze».
L
a persecuzione razziale nella documentazione
di Prefettura e Questura
Ad accusare gli ebrei non mancarono
alcuni delatori anonimi, come nel caso di
Giacomo Pesaro, «di carattere spavaldo e
superbo, [che] con tale suo comporta-
mento fa comprendere di non avere paura
di nessuno», noto dall’agosto del 1938 per
gli «apprezzamenti sfavorevoli nei con-
fronti del Governo Fascista e precisamente
per la preoccupazione in cui vivono oggi-
giorno gli ebrei». L’attenzione verso la Co-
munità ebraica ferrarese da parte delle
autorità politiche fasciste precedette di
circa due anni il censimento dell’agosto
1938 a distanza di due sole settimane dal
quale il vice commissario di pubblica si-
curezza Giuseppe Montagnese informò il
questore che la Federazione fascista di Fer-
rara stava lavorando «per avere aggiornato
l’elenco degli ebrei di questa Provincia, e
stabilire la precisa attività da essi svolta nel
quadro politico economico e sociale della
Nazione». Il risultato finale sarebbe stato
un vero e proprio schedario, creato anche
grazie ad un ‘fiduciario’ «ebreo – sembra
lautamente compensato», contente, oltre
ai dati anagrafici, l’eventuale data di iscri-
zione al P.N.F. e «se hanno rivestito o ri-
vestono tuttora cariche politiche e se in
caso di guerra siano elementi pericolosi o
comunque da vigilare».
Le carte del gabinetto della Prefettura
conservano 310 fascicoli, tra domande di
discriminazione e accertamenti della razza
compiuti d’ufficio: se in questi è conservata
la documentazione presentata dagli ebrei
ferraresi, in 66 fascicoli personali della
Questura si possono invece trovare notizie
sui provvedimenti definitivi presi.
Non mancarono anche gli arresti di
ebrei nei giorni tra l’armistizio dell’8 set-
tembre 1943 e la nascita della Repub-
blica Sociale Italiana: Primo Lampronti
fu fermato dai carabinieri «perché sor-
preso a fissare i seguenti manifestini:
sappiate che la rovina dell’Italia è stato
il fascismo e i Tedeschi».
La situazione per la Comunità ebraica
ferrarese precipitò dopo l’uccisione del fe-
derale di Ferrara Igino Ghisellini e la suc-
cessiva nascita della Repubblica Sociale
Italiana: tra le decine di arresti compiuti tra
il 13 e il 14 novembre 1943, figurano i
nomi di diversi ebrei due dei quali, Vittore
e Mario Hanau, padre e figlio, furono fu-
cilati al
muretto del castello, con altri sei
ferraresi come rappresaglia.
Oltre che al
carcere di via Piangipane, Carabinieri, uo-
mini dalla Questura, della G.N.R., o della
Polizia Repubblicana, rinchiusero gli ebrei
nella sinagoga di via Mazzini e nell’asilo
ebraico di via Vittoria adibito ad ospedale
ed in cui vennero ricoverati gli anziani.
Sono questi i luoghi da cui le S.S. li
prelevarono per inviarli a Fossoli e da quel
momento i famigliari dei deportati non
seppero più nulla dei propri cari. Ancora
una volta sono delle lettere a riportarci a
quei terribili momenti. Il 3 settembre 1944
la signora Erminia
Rossi, novantenne
molto malata, scrisse al Capo della Provin-
cia,
Giuseppe Altini, per ottenere «che le
venga rimandata a casa la sua cara ed ado-
rata figlia
Margherita
Rossi chiusa in
campo di concentramento». La figlia era
già stata uccisa all’arrivo al campo di Au-
schwitz, il 10 aprile 1944.
Durezza ed in-
differenza di
Questore e
Capo della
Provincia verso i sentimenti di pietà umana
emergono con Lionello Forti, classe 1868.
Il 21 febbraio scrisse ai responsabili del
campo di Fossoli chiedendo di essere di-
messo per l’avanzata età e per non arrecare
danni agli altri internati viste le sue precarie
condizioni di salute. Il 4 marzo il
Questore
Enzo Visioli comunicò a Carpi che «su
conforme parere del Capo della Provincia,
non ravvisa, almeno per il
momento, l’op-
portunità che l’ebreo Forti Leonello fu Fe-
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