Ebrei a Ferrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura - page 8

attività era consentita e remunerativa in
tempo di pace, così era imposta senza alcun
compenso in caso di belligeranza. Si è spesso
verificato che i rifornimenti di guerra, so-
prattutto quando ripetuti entro brevi periodi
di tempo, si siano trasformati in pesanti
esborsi a discapito della comunità ebraica.
Se compravendite di edifici non erano
all’ordine del giorno per il divieto di acqui-
sto da parte dei non cittadini, tantissimi
sono i rogiti di affitto di abitazione e di bot-
teghe, per il periodo estense, e di
jus kazakà
,
dopo la realizzazione del ghetto. L’Archivio
Periti Agrimensori arricchisce di stime e de-
scrizioni,
ma soprattutto di piante che a
volte sono semplici schizzi talaltra sono
splendide riproduzioni in scala acquerellate,
la nostra conoscenza degli edifici che costi-
tuivano il ghetto.
Jus kazakà
è un’espres-
sione che è sintesi di latino e di ebraico
talmudico ed indica concetti simili
ma di-
versi tra loro, in particolare, la presunzione
legale di un rapporto giuridico.
Deriva
dall’ebraico
chazaqàh
e significa comune-
mente ‘possesso’; è stato evidenziato dai
notai attraverso l’uso di una fraseologia spe-
cifica che, soprattutto nei primi decenni del
Seicento, faceva riferimento all’origine se-
mantica del termine: troviamo indicato il
contratto d’affitto come
Jus Inquilinatus
haebraicè nuncupato Gasacà
, oppure
pro iure
Casacà hebraice nuncupato
, o come
il Ius in-
quilino nominato in idioma Ebreo Cassacà
.
È stato spesso sentito come un risarcimento,
implicito quanto sottinteso, del perduto di-
ritto di proprietà immobiliare. Talora, dopo
l’affrancazione dal ghetto, gli ebrei hanno
rinunciato con riluttanza allo
jus kazakà
ed
alcuni addirittura lo hanno rimpianto,
come per la perdita di un’effettiva preroga-
tiva giuridicamente valida. Come è testimo-
niato dalla ricca documentazione prodotta
da notai e periti, si trattava di un diritto di
locazione che poteva essere ereditato o do-
nato, assegnato in dote o venduto, ceduto
in restituzione di debiti o rinunciato in fa-
vore di consanguinei, ipotecato o trasferito
in legato, attribuito ad una vedova come re-
stituzione dell’assegno dotale.
Sicuramente situazioni drammatiche
hanno vissuto quanti non erano più in grado
di far fronte alla pigione dovuta e rinuncia-
vano allo
jus kazakà
cedendolo all’
Università
sopra le Case e Botteghe del Ghetto
, la società
ebraica preposta a rispondere ai proprietari
cristiani ed alla Camera Apostolica dello
stato degli immobili e della loro resa econo-
mica. È il caso in cui si sono trovate nume-
rose ebree ferraresi, da sempre la frazione più
debole della società: la loro petizione acco-
rata inoltrata al Legato Pontificio Sforza è al-
legata all’atto del 15 gennaio 1693 con il
quale Gioia Rossi, vedova di Iacob Sacerdoti,
rinunciava alla casa dove aveva abitato con
il
marito, nella strada dei Sabbioni.
Il ricorso allo
jus kazakà
era una pratica
talmente abituale che si assiste alla sua ap-
plicazione anche da parte di ebrei nei con-
fronti dei correligionari persino dopo
l’apertura del ghetto. Il 9 maggio 1803, i
rappresentanti della Scuola Spagnola hanno
concesso a titolo di affitto perpetuo alias Jus
detto Inquilinato alias Kazaga
un edificio in
Vignatagliata al
Cittadino
(poiché si era in
piena dominazione francese) Benedetto di
Salomon Pesaro: proprietaria dell’immobile,
la Scuola Spagnola applicava le medesime
leggi di mercato imposte dalla comunità cri-
stiana agli ebrei a partire dai primi decenni
del Seicento. In questo senso, lo
jus kazakà
si configurava come fonte di rendita anche
per gli ebrei:
Al tempo che seguì la morte del
fu Jacob Coen Vitali, esausto si trovò il suo pa-
trimonio
tanto che i figli ed eredi Deodato e
Bella Rosa si sono visti costretti a cedere le
porzioni di utile dominio della loro abita-
zione, nella strada di Vignatagliata, compresi
tutti i beni
mobili, a Leon Prospero del fu
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Il banco
foenoris
svolgeva i suoi servigi anche nei confronti dei correligionari: il 9 dicembre 1429, a Ferrara
nella contrada di Boccacanale nell’edificio in cui era esercitato il banco di prestito degli eredi dell’ebreo Con-
silio, alla presenza di testi fra cui gli ebrei Isac del fu Angelo di Bologna della contrada di San Romano e Gu-
glielmino di Fermo della contrada di Sant’Agnese che hanno dichiarato di conoscere bene il contraente
budriese, l’ebreo Sabaducio del fu Gaio del castello di Budrio in distretto di Bologna, agendo come curatore
e procuratore di Salomone ebreo da Bologna, muto e demente, figlio del fu Ruffino, ha dichiarato a richiesta
dell’ebreo Manuele del fu Consilio, della contrada di Boccacanale, gestore del banco di Borgo Ricco ed
agente per sé e per gli altri suoi soci, che Manuele gli ha dato sufficiente rendiconto per 2.000 lire di
mar-
chesini di Salomone, impegnate a prestito nel banco, fino al 27 febbraio del 1429.
Al piede della pagina del protocollo, il notaio ha re-
gistrato l’assoluzione; da notare che, nella data to-
pica, la sua penna era corsa a scrivere
«in domo
habitationis»
per poi correggersi subito, cancellare e
vergare
in qua exercetur banchum imprestati heredum
quondam Consii hebrei
(A
RCHIVIO DI
S
TATO DI
F
ER
-
RARA
, Archivio Notarile Antico di Ferrara, not. An-
drea Santi,
matricola 61, pacco 1, prot. 1429, carta
non numerata (recto), 9 dicembre 1429).
Nella seconda pagina, la stesura è fluita senza ripen-
samenti. (A
RCHIVIO DI
S
TATO DI
F
ERRARA
, Archivio
Notarile Antico di Ferrara, not. Andrea Santi,
ma-
tricola 61, pacco 1, prot. 1429, carta non numerata
(verso), 9 dicembre 1429).
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