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Max Ascoli e Ferrara
Il fascicolo “Max Ascoli” della Questura di Ferrara
gliato, nel sminuire la qualità dell’uditorio, nel dare scarso rilievo alle te-
si illustrate dallo studioso in esilio, erano indizi del clichè che allora ve-
niva applicato in ogni fase istruttoria. Chi era perseguibile lo era perché
era colpevole, poiché col suo comportamento aveva “deviato” dalle di-
rettive di uno stato etico. Anzi, chi si posizionava, con iniziative diverse
o non legittimate dallo stato fascista, era giudicato per le sue azioni non
solo come cittadino, ma anche come uomo. In quel tempo infatti “l’erro-
re”, cioè il comportamento sul quale eccepire, e “l’errante”, ovvero la
persona che lo eseguiva, erano completamente identificati. Così la perso-
na deviante era sempre di “
scarso conto…, valeva poco…, era superbo…,
non aveva contatti seri
”, era insomma una specie di uomo inferiore o
omuncolo, e in tal modo veniva anche, con buona pace di tutti, tacitata
ogni traccia o remora coscienziale sulla vera e propria persecuzione che
veniva posta in campo.
L’altro dato che emerge dall’analisi di questa ultima sezione dei docu-
menti, relativi alla sorveglianza di Ascoli dopo il suo espatrio, evidenzia
che, mentre fino al 31 dicembre1938, le frequenti segnalazioni erano ar-
ticolate in rapporti che si dilungavano in descrizioni particolareggiate di
fatti, luoghi e persone, a partire dal maggio 1939
[128]
e fino al 16 febbraio
1942, data dell’ultimo riscontro presente nel fascicolo, si ricorreva alla
formula “
nulla da segnalare
– oppure –
si conferma il cenno preceden-
te
”, indici di un rituale aggiornamento puramente d’ufficio della scheda
con formule ripetute in forma alternata ogni trimestre.
Del resto l’Italia aveva impegnato, in quegli anni, ogni sua risorsa in una
guerra, voluta dal fascismo per ambizioni imperialiste e giustificata dal
duce come assurda necessità di avere “
qualche migliaio di morti da far
valere al tavolo di una conferenza di pace
” (Ciano, 2006). Il paese esau-
sto era stato coinvolto in uno sforzo impari, eseguito spesso in maniera
dilettantistica
[129]
e, nella ridda di ordini e contro ordini, di avvenimenti,
che inesorabilmente facevano presagire un paventato tracollo, non costi-
tuiva certamente un problema prioritario il controllo sulla produzione e
sull’attività di un esule italiano. In realtà Ascoli aveva intensificato, o me-
glio affinato, grazie al suo pieno inserimento nella realtà accademica e
sociale degli Stati Uniti, il suo impegno politico per una rinascita della
democrazia in Italia, paese cui era non solo legato per gli affetti più cari
ma, che da sempre, amava come la propria Patria.
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